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Terreno fertile per l’efficienza

Dal 2012 la Forbo-Giubiasco SA ha dimezzato le sue emissioni di CO2 grazie a misure di efficienza, adeguamenti apportati ai processi e all’allacciamento a una rete di teleriscaldamento.

Bruno Guidotti (a sinistra), direttore della Forbo-Giubiasco SA, e Walter Bisang (a destra), consulente dell’AEnEC, elaborano insieme con successo misure energetiche.

Spianata come una pasta: la massa per la pavimentazione riscaldata a 180 gradi si raffredda dopo essere stata laminata.

Per chiudere le fughe tra le lastre per pavimenti, vi sono cordoli di saldatura del medesimo colore e conformi alla copertura. Per un’igiene perfetta e una pulizia semplice.

Da Giubiasco nel mondo: le lastre per pavimenti conduttive e isolanti di Forbo vengono utilizzate nell’industria elettrica ed elettronica.

Come dev’essere un pavimento per poter essere utilizzato in laboratori, sale di radiologia o nell’industria elettrica ed elettronica? Dev’essere conduttivo e al contempo isolante nonché evitare scariche statiche per proteggere le persone esposte ai rischi derivanti dal contatto con elementi sotto tensione. Oltre alla sicurezza delle persone come argomento di vendita principale, riveste essenziale importanza anche la tutela della qualità di apparecchiature elettroniche sensibili. Tale tutela potrebbe venire notevolmente compromessa in caso di scarica statica. La competenza di Forbo-Giubiasco consiste proprio nella fabbricazione di tali pavimenti speciali. Qui nella sede di Giubiasco in Ticino vengono prodotte lastre per pavimenti con cordoli di saldatura, angoli, rampe e battiscopa adeguati, e ciò per il mondo intero.

QUALITÀ = SWISSMADE

Colorex è una pavimentazione Vinilica a tecnologia avanzata, priva di pori e di facile manutenzione. Soddisfa le massime esigenze in fatto di igiene persino in camere bianche. Deve non solo isolare dalle tensioni elettriche sprigionate dalle apparecchiature, ma al contempo essere antistatica. Soprattutto in inverno e in presenza di aria secca l’attrito provocato dagli indumenti o dalle calzature può generare scariche, se i pavimenti non sono antistatici. Qui nessuno al mondo deve correre rischi. L’impresa ticinese rifornisce pertanto clienti in America, Asia ed Europa. È soprattutto una questione di fiducia, spiega Bruno Guidotti, direttore e dottore in chimica della Forbo-Giubiasco SA. Ma come viene realizzato un simile prodotto e quali sono le fasi di produzione a maggior consumo di energia?

È un continuo cambiare tra caldo e freddo.

Bruno Guidotti, Direttore

COME NELLA COTTURA AL FORNO

«Immaginate di cuocere al forno una treccia», spiega Guidotti. All’inizio del processo l’azienda riceve le materie prime in polvere. Queste vengono dapprima dosate e mescolate nella torre di miscelazione di quattro piani. L’intero processo è completamente automatico e viene gestito e costantemente monitorato dalla sala di controllo. Al termine dell’operazione di miscelazione viene a crearsi, grazie al riscaldamento della massa di base a 180 gradi centigradi, una massa calda, omogenea e lavorabile. «Si tratta per così dire della pasta», sorride Guidotti. A quel punto intervengono i rulli di calandratura, che trasformano questa massa calda in un nastro senza fine, lasciato raffreddare all’aria. In una fase successiva questo nastro viene sminuzzato in piccoli frammenti rettangolari che in seguito vengono rivestiti con un liquido nero a base di fuliggine. Il liquido di colore nero è costituito da materiale conduttivo, che fa sì che i pavimenti alla fine diventino antistatici. Ad alta pressione – ben 45 chilogrammi per centimetro quadrato – i frammenti vengono nuovamente riscaldati in un grande forno, pressati e infine tagliati in senso longitudinale. Le operazioni che seguono sono il trattamento superficiale, il quale consiste nella levigatura, spazzolatura e lisciatura. Dopodiché le lastre vengono caricate in un forno di rilassamento, dove vengono prima riscaldate e poi raffreddate. Al termine del processo le lastre vengono tranciate a misura, controllate minuziosamente, caricate sui pallet e preparate per la spedizione.

CON PICCOLE MISURE SI OTTENGONO GRANDI RISULTATI

«È un continuo va e vieni tra caldo e freddo», così descrive Guidotti il processo di produzione. Ciò richiede sempre un elevato consumo di energia. Per l’intera produzione, la Forbo-Giubiasco SA ha bisogno di una notevole quantità di energia termica. Da oltre nove anni la grande consumatrice aderisce al modello energetico dell’AEnEC e opera quindi tra l’altro secondo il suo motto internazionale «Creating Better Environments ». Da allora Guidotti e il consulente dell’AEnEC Walter Bisang hanno già ottenuto molto, ad esempio con l’attuazione delle misure di efficienza. Non solo l’impianto di impastatura e fusione viene riscaldato con olio termico, ma anche la mega-pressa. In passato molto di questo calore andava semplicemente perso, non essendovi sufficiente isolamento. Oggi le macchine sono completamente provviste di apposite guaine isolanti e i tubi che veicolano il calore sono isolati in modo ottimale. Il calore resta pertanto più tempo nel processo e la Forbo risparmia ben 70 000 litri di olio combustibile all’anno. «Naturalmente le misure, realizzate per questioni ambientali, devono essere interessanti anche dal profilo economico», afferma Guidotti. Con un tempo di payback di poco meno di tre anni, è, tuttavia, già valsa la pena adottare queste misure di efficienza.

Guardiamo con ottimismo a un futuro a emissioni zero.

Bruno Guidotti, Direttore

VERIFICARE ATTENTAMENTE PAGA

Chi desidera intraprendere un altro passo in avanti dopo le misure di efficienza classiche, esamina i processi. Ad esempio con un’analisi Pinch. «L’analisi Pinch consente di mettere in discussione tutti i processi», spiega Bisang. E la Forbo-Giubiasco SA ha fatto proprio questo nel 2012 e nel 2014. Anche nel forno di rilassamento, che si trova alla fine della produzione e in cui il consumo di energia dipende principalmente dalla temperatura all’interno del forno. «A questo proposito ci si è chiesti se la temperatura di riscaldamento utilizzata fosse necessaria», si ricorda Bisang. Sono state inoltre criticamente analizzati la quantità di aria immessa ed emessa nei singoli settori nonché i livelli assoluti delle temperature. Dopo aver adeguato la quantità di aria, è stata diminuita a piccoli passi la temperatura e la qualità di prodotti derivante è stata controllata con la massima precisione. Il risultato: laddove prima erano necessarie temperature di 110 gradi per riscaldare le lastre, oggi bastano solo 60 gradi, mantenendo invariata la qualità dei prodotti. La Forbo risparmia così una quantità considerevole di olio diatermico per il forno di rilassamento. Ma non è tutto. «Ora che necessitiamo di una temperatura di soli 60 gradi, stiamo verificando se non è possibile rinunciare completamente all’uso di olio combustibile e forse garantire questa bassa temperatura nel forno persino tramite acqua calda», spiega Guidotti. Ossia tramite il circuito di acqua calda che circola nella fabbrica della Forbo accanto al circuito di olio termico riscaldato a 200 gradi. Questo circuito di acqua calda viene alimentato dalla rete di teleriscaldamento «Teris».

ENERGIE PROVENIENTE DALLA REGIONE

A un chilometro di distanza dallo stabilimento di Giubiasco, infatti, si trova l’unico inceneritore del Cantone Ticino per i rifiuti solidi urbani. «Siamo state una delle prime imprese a parteciparvi con l’intento di accelerare lo sviluppo del teleriscaldamento, tanto che oggi l’intero edificio è riscaldato con il teleriscaldamento e il calore residuo della produzione», spiega Guidotti. «Possiamo così risparmiare annualmente circa 120 000 litri di olio combustibile.» Analizzando progetti come quelli del forno di rilassamento, in futuro la quota di teleriscaldamento deve aumentare e condurre la Forbo verso un futuro senza carbone. Ciò che quest’impresa ha finora raggiunto è impressionante. Dal 2012 le emissioni di CO2 hanno potuto essere dimezzate grazie all’attuazione di misure di efficienza, all’ottimizzazione di processi e all’allacciamento alla rete di teleriscaldamento. Partita da 1425 tonnellate annue di emissioni, nel 2020 l’azienda è scesa a sole 684 tonnellate di CO2 all’anno, un risultato notevole. «Ma non è ancora possibile rinunciare del tutto all’olio», spiega il consulente dell’AEnEC Walter Bisang.

PROSPETTIVE POSITIVE

«Parliamo qui di un’industria che per la produzione ha bisogno di alte temperature», afferma Bisang. Queste non possono essere ottenute con l’energia proveniente dal sistema di teleriscaldamento, poiché quest’ultimo genera una temperatura massima di 90 gradi centrigradi. Queste temperature bastano per i riscaldamenti di edifici e per garantire altre temperature basse, tuttavia, non per i processi con temperature elevate. Per questo motivo presso la Forbo viene utilizzato un sistema con olio diatermico. Gli impianti di olio diatermico offrono i più svariati vantaggi come, ad esempio, un elevato grado di precisione nella regolazione. Fatto sta che non si tratta di una fonte di energia sostenibile. L’ambizioso obiettivo della Svizzera di raggiungere un saldo netto delle emissioni pari a zero ha perciò già suscitato ampie discussioni. «Naturalmente riflettiamo sulla situazione e verifichiamo costantemente le nostre possibilità», sostiene anche Guidotti. È ad esempio ipotizzabile anche l’impiego di legna da ardere (cippato) per soddisfare il fabbisogno di temperature elevate. Ma non è ancora stata presa una decisione. Tuttavia, il chimico non soffre di notti insonni. «L’atteggiamento mentale è importante», ne è sicuro. «Oggi non sappiamo ancora quale sarà la soluzione definitiva, ma siamo certi di voler affrontare la sfida. Inoltre, guardiamo con ottimismo a un futuro a emissioni zero.»

FORNO DI RILASSAMENTO

Il forno di rilassamento, di circa 25 metri, è suddiviso in diversi segmenti. Nella prima metà si riscalda, nella seconda si raffredda. Durante il passaggio tra queste differenze di temperatura della durata di alcuni minuti, il prodotto (lastre per pavimenti) si stabilizza (si distende).

Ulteriori informazioni

L’uso predominante dei combustibili nell’industria – generare calore per il riscaldamento dei processi – sinora ha rivestito un ruolo solo marginale nell’ambito della decarbonizzazione. Ecco in cinque passaggi come ridurre sensibilmente questi consumi e puntare su fonti energetiche prive di CO2.

L’obiettivo della politica climatica svizzera di raggiungere un saldo netto delle emissioni pari a zero presuppone che, entro i prossimi 30-50 anni, l’economia e la società non emettano più gas serra. Nei vari scenari e strumenti studiati a tal fine, il calore generato per il riscaldamento dei processi in ambito industriale e artigianale riveste un ruolo marginale o è assente del tutto, nonostante esso rappresenti l’uso predominante dei combustibili nel settore secondario. La percentuale di calore destinato al riscaldamento dei processi nelle imprese aderenti all’AEnEC, infatti, è di gran lunga superiore a dieci terawattora all’anno e costituisce all’incirca il 70 per cento del consumo industriale di combustibili di tutte le aziende dell’AEnEC. È dunque un aspetto trascurato? Nei decenni a venire, la decarbonizzazione dei processi e del calore destinato al loro riscaldamento sarà una sfida per la maggior parte delle imprese. Ma se si agirà in maniera intelligente, differenziata, sistematica e lungimirante puntando a una generazione e un utilizzo del calore «a misura di futuro», la decarbonizzazione sarà un obiettivo realistico. Considerato tuttavia che per implementare le misure necessarie possono volerci decenni, la pianificazione non dovrebbe essere posticipata oltre.

PIANO IN CINQUE FASI

Garantire nel lungo periodo una produzione a emissioni zero richiede misure e sviluppi a diversi livelli. Il consumo energetico industriale può essere minimizzato in vari modi: attraverso efficientamenti, il recupero di calore nei e tra i processi, l’ottimizzazione e la conversione dei processi, l’adeguamento dei prodotti, il riutilizzo delle materie prime (economia circolare) e lo sfruttamento del calore residuo tra le aziende. Le temperature necessarie alla produzione possono essere ridotte adeguando processi e prodotti. Il fabbisogno termico rimanente può essere coperto da vettori energetici privi o a bassa emissione di CO2. Fondamentali per realizzare una produzione a zero emissioni sono i seguenti cinque passaggi:

1. Efficientamenti
Le potenzialità di ridurre le emissioni di CO2 attraverso un miglioramento dell’efficienza sono ancora elevate, soprattutto se si interviene sui processi con ottimizzazioni a livello operativo, l’impiego di innovazioni e tecnologie avanzate, il recupero di calore internamente ai processi e lo sfruttamento del calore residuo con modellazione PinCH. Le misure di efficientamento finalizzate all’impiego eco-sostenibile dei processi e del calore necessario per il loro riscaldamento sono spesso le più redditizie, in termini di costi, per molte imprese.

2. Reti e sfruttamenti integrati
Ridurre le emissioni è possibile anche attraverso il recupero termico e lo sfruttamento del calore residuo tra più stabilimenti di produzione. Le reti di teleriscaldamento, infatti, consentono di usufruire del riscaldamento e del raffreddamento tra vari processi e industrie. Le difficoltà a livello di realizzazione pratica risiedono nella pianificazione spaziale delle reti e degli usi condivisi e nella distanza geografica tra le potenziali aziende collegate. Le reti di teleriscaldamento, inoltre, presuppongono una programmazione di lungo periodo e richiedono investimenti importanti, che non tutte le imprese situate in corrispondenza degli allacciamenti sono in grado di sostenere finanziariamente. Le reti e gli sfruttamenti integrati creano inoltre interdipendenze tra le imprese, di cui va tenuto conto in fase di pianificazione. Una fabbrica di padelle, ad esempio, può fornire calore a un’amministrazione comunale, una casa di riposo, parte delle strutture scolastiche e immobili privati. Non dovendo trattarsi necessariamente solo di aziende partner – anzi spesso un requisito è anche la presenza di un’infrastruttura pubblica – vanno garantiti altresì la sicurezza giuridica, la fattibilità della pianificazione e una solida intesa con le autorità…

3. Adeguamenti dei processi
In molti casi i processi possono essere adeguati a requisiti di temperatura inferiori, che spesso comportano anche un minor fabbisogno energetico. Queste variazioni possono sì valere la pena, ma anche rivelarsi costose e rischiose. Ecco perché su questo fronte si avverte una certa ritrosia. Affermazioni quali: «lasciamo le cose come stanno, ha sempre funzionato così» oppure «le regolazioni non si toccano, le ho prese tali e quali dal mio predecessore» sono giustificazioni tanto frequenti quanto comprensibili. Analizzare le scatole nere dei processi mettendo in campo le conoscenze interne o esterne necessarie, possedere una certa propensione e capacità di rischio e puntare su innovazione, ricerca e sviluppo sono passaggi fondamentali per trasformare i processi nell’ottica di ridurre le emissioni. Non è escluso che, oltre a ciò, occorrano strumenti di tutela dai rischi per poter dare avvio a tali trasformazioni, che potrebbero essere rappresentati da garanzie di copertura dal rischio legato a grandi avanzamenti tecnologici.

4. Adeguamenti dei prodotti
Alcuni prodotti possono essere sostituiti da altri aventi funzioni identiche o analoghe, ma che richiedono meno calore per il riscaldamento dei processi o temperature inferiori in produzione. Questi cambiamenti di prodotti vengono anche effettuati per utilizzare i materiali con un minor dispendio di risorse o per differenziare e riciclare meglio le materie prime una volta che i prodotti sono giunti a fine vita.

5. Sostituzione dell’approvvigionamento energetico con fonti rinnovabili
Pur avendo pienamente adottato le quattro soluzioni sopra descritte per ridurre le emissioni, rimane ancora un forte fabbisogno di calore per i processi a diversi livelli di temperatura. Per quanto possibile, tale fabbisogno dovrebbe poter essere coperto con vettori energetici privi di emissioni di CO2. Le energie rinnovabili, tuttavia, presentano alcune criticità in termini di disponibilità, contemporaneità, livello di temperatura, andamento dei prezzi e sostenibilità della produzione di biogas e di gas e combustibili liquidi sintetici da fonti rinnovabili. La sequenza con cui sono state presentate le misure è da considerarsi teorica, come nel caso degli immobili, in cui prima va ottimizzato l’involucro esterno e poi va gestito il nuovo riscaldamento con energie rinnovabili. In pratica, spesso la situazione è differente, non da ultimo a causa dei diversi cicli di vita dei componenti. Se le imprese decidono di puntare sui processi e sul calore necessario per il loro riscaldamento, occorre in ogni caso partire dagli efficientamenti. Gli eventuali passi successivi possono seguire un ordine diverso a seconda della situazione.

FACILE O DIFFICILE? DIPENDE.

La decarbonizzazione del calore dei processi non è sempre facile da realizzare, come evidenziano i tre esempi seguenti. Un caseificio organizzato sotto forma di cooperativa, situato in un’area rurale ai margini di una zona artigianale, può tranquillamente passare a un riscaldamento a cippato con il legname proveniente dalla foresta locale. Eventualmente ci sarà anche una rete di teleriscaldamento o un consorzio locale nelle vicinanze. Il carico di base e di punta verrebbe senz’altro coperto con la medesima caldaia o tramite il consorzio. Al giorno d’oggi le caldaie a ceppi sono in grado di adeguare la loro potenza al fabbisogno tra il 100 e il 30 per cento. In un batter d’occhio il caseificio è a emissioni zero – più semplice di così!  Sono circa 150 i caseifici assistiti dall’AEnEC nel raggiungimento dei loro obiettivi di decarbonizzazione che hanno adottato questo approccio, tra cui anche alcune grandi realtà…

La decarbonizzazione dei processi e del calore destinato al loro riscaldamento è una sfida.

Un vivaio potrebbe invece avere qualche difficoltà in più. Di notte la serra è isolata dagli schermi termici, che allo spuntare del sole nelle prime ore del mattino vengono rimossi da sopra le colture, il che genera in breve tempo un notevole picco di carico. Sfruttando il calore residuo o utilizzando una pompa di calore con sonda geotermica o ad acqua di falda si riuscirebbe a coprire questo fabbisogno energetico improvviso solo a fronte di grandi accumulatori. Senza di essi occorrerebbe anche a una caldaia, ad esempio a biogas, in grado di assorbire questi picchi. In più, la fonte di energia summenzionata deve anche essere disponibile e utilizzabile. Eventualmente sarebbe il caso di passare a un altro tipo di coltura oppure iniziare la produzione più avanti nell’anno. Questi cambiamenti possono avere un peso notevole per la singola impresa, per cui già a questo punto la decarbonizzazione del calore dei processi non è più così facile da raggiungere.

Ancora più arduo è il caso di un’azienda chimica in area urbana con una molteplicità di processi continui e non e requisiti di temperatura estremamente variabili nei processi. In linea di principio la richiesta massima di calore in un dato punto non dovrebbe far sì che tutta l’area venga alimentata a quello stesso livello di temperatura. Non di rado, infatti, ciò impedisce il recupero termico all’interno dei processi, lo sfruttamento del calore residuo, un’eventuale rete di anergia, l’utilizzo di energia ambientale tramite pompe di calore o l’impiego del solare termico a fini di preriscaldamento o approvvigionamento totale. Spesso tutta l’area di pertinenza dell’azienda viene alimentata a livello centrale attraverso un’unica centrale termica con rete a vapore o ad acqua calda, per cui gli scambiatori di calore ad alta temperatura in corrispondenza dei consumatori vengono previsti di piccole dimensioni. Convertire successivamente questo tipo di reti a temperature inferiori richiede non poche trasformazioni, dal momento che a temperature più basse le superfici degli scambiatori di calore devono essere maggiori.

Rimangono processi le cui emissioni di CO2 difficilmente possono essere abbattute.

CHE FARE?

Una suddivisione in cluster di approvvigionamento con diversi generatori di calore a seconda dei livelli di temperatura e degli orari di attività sarebbe un’opzione sensata per molte imprese. La produzione di calore per il riscaldamento degli spazi andrebbe possibilmente separata da quella per il riscaldamento dei processi. Al giorno d’oggi un edificio ben ristrutturato può essere gestito con una temperatura di mandata di 35 gradi centigradi, senza necessità di riscaldamento a nafta, a gas o a legna. I «vettori energetici ad alta temperatura» dovrebbero essere riservati ad applicazioni di quel tipo (e non al riscaldamento degli spazi o alla produzione di acqua calda). Il fatto che i grandi impianti di produzione di energia elettrica dal legno potrebbero non sfruttare completamente il calore generato è un altro problema, essendo il legno una risorsa destinata a scarseggiare come vettore energetico.

Un po’ di luce in fondo al tunnel arriva dalla disponibilità – si spera crescente – di biogas e di gas e combustibili liquidi sintetici da energie rinnovabili, che consentono di generare temperature elevate. Devono dunque essere utilizzati dove occorrono temperature di questo livello ed essere prodotti in maniera sostenibile. Importanti sono anche i progressi compiuti sul fronte delle pompe di calore ad alte temperature. Alla fine, tuttavia, rimangono processi le cui emissioni di CO2 difficilmente possono essere abbattute. Tra questi rientrano anche i processi in ambito petrolchimico et quelli che rilasciano emissioni geogene, come la combustione della calce.

PIANIFICARE OGGI PER DOMANI

Sulla base del piano in 5 fasi sopra descritto i consulenti dell’AEnEC illustrano alle imprese interessate, in funzione della loro situazione specifica, quali misure possono essere adottate volontariamente nell’arco dei successivi 30 anni per abbattere quanto più possibile le emissioni dei processi e del calore necessario al loro riscaldamento.  Le analisi PinCH, finanziate tra l’altro anche dalla Confederazione, saranno fondamentali nell’individuare le possibilità di recupero termico e di conversione dei processi. La pianificazione dei costi e delle misure va necessariamente effettuata in un’ottica di Life Cycle Cost (LCC) evidenziando anche i possibili «non energy benefits», altrimenti alcuni risvolti di tali misure potrebbero non apparire redditizi dal punto di vista odierno e alla luce delle condizioni attuali. Con «non energy benefits» s’intendono gli effetti che si realizzano oltre ai risparmi sui costi energetici. Lo stimolo ad avvalersi di tale servizio di pianificazione a cura dell’AEnEC potrebbe essere l’imminente necessità di grandi investimenti su linee o stabilimenti di produzione oppure l’interesse a individuare le opportunità d’intervento. Pianificare il futuro appunto! Sono più di 200 le imprese seguite dall’AEnEC che hanno affrontato il tema della decarbonizzazione del calore necessario al riscaldamento dei processi, richiedendo una pianificazione completa oppure attuando già le misure del caso. Altre sono intenzionate ad aggiungersi. Dire «non funziona» non va bene, commenterebbe Jacqueline Jakob. I numerosi esempi pratici riportati in questa rivista mostrano ciò che è possibile e quali sono le difficoltà da affrontare.

Profilo dell’autore

Thomas Weisskopf, ing. el. dipl. HTL, ing. ener. dipl. HTL/NDS è titolare e amministratore della Weisskopf Partner GmbH e membro della direzione dell’Agenzia dell’energia per l’economia (AEnEC). È coach dell’energia per la Città di Zurigo, esperto CECE Plus e membro del Forum Energia Zurigo. Weisskopf Partner GmbH è accreditata presso l’AEnEC ed energo.

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