A marzo il Parlamento ha adottato la nuova legge sul CO2 per il periodo 2025-2040. In vigore da luglio, essa prevede che in futuro tutte le imprese possano ottenere il rimborso della tassa sul CO2, purché s’impegnino a ridurre le loro emissioni di anidride carbonica sulla base di un accordo sugli obiettivi con la Confederazione. A tal fine, entro al massimo tre anni dopo aver concordato questo impegno le aziende devono presentare un programma di decarbonizzazione, come quello che l’AEnEC propone con il nome di Piano per la decarbonizzazione. La tassa sul CO2 rimane pari a 120 franchi per tonnellata di CO2.
L’estensione della possibilità di essere esentati dalla tassa sul CO2 dovrebbe essere per molte imprese un incentivo a investire in misure di decarbonizzazione. E, come mostrano vari esempi citati in questo numero e anche un interessante articolo sul tandem tra Piano per la decarbonizzazione e accordo sugli obiettivi, emettere meno CO2 non aiuta soltanto a ridurre i propri consumi energetici e quindi i costi, ma anche l’ambiente. La decarbonizzazione è un’opportunità. Non lasciatevela sfuggire, dunque, e seguite l’esempio delle aziende che hanno già intrapreso questo percorso.
Prof. Dr. Rudolf Minsch
Presidente
Frank R. Ruepp
Direttore
La Svizzera sta puntando ad azzerare le proprie emissioni nette di gas ad effetto serra. I progressi compiuti a tal fine dalle PMI sono già notevoli, anche grazie al binomio tra accordo sugli obiettivi e «Piano per la decarbonizzazione» proposto dall’Agenzia dell’energia per l’economia (AEnEC).
Benedikt Vogel
Risparmiare energia, emissioni e denaro: sono vent’anni che l’accordo sugli obiettivi unisce in sé proprio questi vantaggi. Le imprese che definiscono obiettivi vincolanti di riduzione dei loro consumi energetici per un periodo di dieci anni sono esentate dalla tassa sul CO2 sui combustibili fossili. Le misure di sostenibilità che adottano hanno dunque un duplice vantaggio: la restituzione dell’importo versato per la tassa e la riduzione dei costi energetici. I grandi consumatori di energia elettrica possono anche beneficiare di un rimborso parziale o totale del supplemento di rete, per cui le imprese ad alta intensità energetica riescono a risparmiare rapidamente importi a cinque o sei cifre. Sinora questi vantaggi erano riservati alle aziende dei settori energivori, come quello metallurgico, chimico e alimentare. Con la nuova legge sul CO2 che entrerà in vigore nel 2025, invece, saranno estesi a tutte le imprese. Gli accordi sugli obiettivi, inoltre, sono utili ai grandi consumatori ai quali le leggi cantonali sull’energia impongono misure di efficienza.
Alle piccole e medie imprese che sottoscrivono un accordo sugli obiettivi l’AEnEC offre un pacchetto di efficientamento consolidato, realizzabile anche senza esperti energetici interni all’azienda. Alle grandi imprese, invece, propone una soluzione di consulenza flessibile con misure personalizzate. La procedura di base è identica per tutte le aziende: all’analisi dei consumi energetici fa seguito la definizione di obiettivi di risparmio che, una volta sottoposti all’audit di Confederazione e Cantoni, vengono attuati con il supporto di specialisti e monitorati a cadenza annuale.
Per azzerare del tutto le emissioni di gas serra entro il 2050, occorre un secondo strumento con un’ottica di lungo termine. A tal fine l’AEnEC offre alle imprese il pacchetto di servizi «Piano per la decarbonizzazione», comprendente misure atte a eliminare completamente le emissioni di CO2. Si inizia con l’adozione di misure di efficienza all’interno dell’azienda, dopodiché si apportano adeguamenti ai processi, ad esempio la riduzione della temperatura di processo. Questi ultimi sono fondamentali per scegliere i vettori rinnovabili adeguati. Ancora troppo spesso si commette l’errore di mantenere processi con grande consumo energetico ad alta temperatura senza una verifica dei requisiti e di sostituirlo con un vettore energetico rinnovabile per alta temperatura come il legno. Ha più senso, invece, ridurre la temperatura di processo laddove possibile e successivamente coprire il fabbisogno termico con il recupero termico e il calore residuo o con pompe di calore.
Il piano dell’AEnEC o – se l’azienda vuole entrare più nel dettaglio – la consulenza dell’AEnEC in materia di risorse include nella valutazione le emissioni di gas serra delle attività a monte, per cui considera ad esempio anche l’energia utilizzata per la produzione di acciai o componenti in plastica acquistati (scope 2/3). Può anche rientrarvi la compensazione delle emissioni di gas serra attraverso l’acquisto di certificati – da scegliere tuttavia come ultima soluzione, perché sono costosi. Un occhio va sempre dato anche alla qualità dei certificati. La legge sul clima e sull’innovazione prevede che le imprese debbano raggiungere la neutralità climatica al più tardi entro il 2050. Dovendo elaborare tabelle di marcia che spieghino come intendono raggiungere tale obiettivo, il piano di decarbonizzazione diventa un obbligo.
Con l’accordo sugli obiettivi e il piano di decarbonizzazione l’AEnEC offre una combinazione vincente, sotto il profilo economico ed ecologico, tra servizi di consulenza pratici e tool online. La sostenibilità d’impresa, infatti, sta ormai diventando una questione esistenziale per le PMI che, come sotto fornitori, sono sempre più vincolate ai target di decarbonizzazione dei loro clienti. Anche la politica energetica invoca una riduzione sistematica dei consumi: le PMI lungimiranti sono attrezzate al meglio per far fronte a possibili situazioni di penuria e ad alti prezzi dell’energia.
Anche l’effetto psicologico non è da trascurare. Una volta compiuto il primo – magari faticoso – passo, il secondo non sarà più così difficile. A quel punto può nascere una sorta di competizione interna: nel tentativo di superare sé stessi, si adottano sempre nuove misure di risparmio, per cui non solo si finisce per prenderci gusto, ma si riducono anche le emissioni di CO2 e, in ultima istanza, si fa del bene al clima.
Anche se la legge sul CO2 non chiarisce tutti i punti chiave relativi al periodo successivo al 2024, i consulenti dell’AEnEC si tengono sempre aggiornati e vi informano prontamente sugli sviluppi. Sono gli interlocutori ideali per le imprese che non conoscono ancora a fondo il nuovo progetto di legge.
25.03.2025
Con il piano per la decarbonizzazione vi supportiamo e vi consigliamo nello sviluppo di una strategia di decarbonizzazione graduale e intelligente, in linea con i principi dell’economia aziendale. A questo proposito teniamo conto delle condizioni specifiche dello sabilimento, dei piani e degli obiettivi della vostra azienda.
L’uso predominante dei combustibili nell’industria – generare calore per il riscaldamento dei processi – sinora ha rivestito un ruolo solo marginale nell’ambito della decarbonizzazione. Ecco in cinque passaggi come ridurre sensibilmente questi consumi e puntare su fonti energetiche prive di CO2.
L’obiettivo della politica climatica svizzera di raggiungere un saldo netto delle emissioni pari a zero presuppone che, entro i prossimi 30-50 anni, l’economia e la società non emettano più gas serra. Nei vari scenari e strumenti studiati a tal fine, il calore generato per il riscaldamento dei processi in ambito industriale e artigianale riveste un ruolo marginale o è assente del tutto, nonostante esso rappresenti l’uso predominante dei combustibili nel settore secondario. La percentuale di calore destinato al riscaldamento dei processi nelle imprese aderenti all’AEnEC, infatti, è di gran lunga superiore a dieci terawattora all’anno e costituisce all’incirca il 70 per cento del consumo industriale di combustibili di tutte le aziende dell’AEnEC. È dunque un aspetto trascurato? Nei decenni a venire, la decarbonizzazione dei processi e del calore destinato al loro riscaldamento sarà una sfida per la maggior parte delle imprese. Ma se si agirà in maniera intelligente, differenziata, sistematica e lungimirante puntando a una generazione e un utilizzo del calore «a misura di futuro», la decarbonizzazione sarà un obiettivo realistico. Considerato tuttavia che per implementare le misure necessarie possono volerci decenni, la pianificazione non dovrebbe essere posticipata oltre.
Garantire nel lungo periodo una produzione a emissioni zero richiede misure e sviluppi a diversi livelli. Il consumo energetico industriale può essere minimizzato in vari modi: attraverso efficientamenti, il recupero di calore nei e tra i processi, l’ottimizzazione e la conversione dei processi, l’adeguamento dei prodotti, il riutilizzo delle materie prime (economia circolare) e lo sfruttamento del calore residuo tra le aziende. Le temperature necessarie alla produzione possono essere ridotte adeguando processi e prodotti. Il fabbisogno termico rimanente può essere coperto da vettori energetici privi o a bassa emissione di CO2. Fondamentali per realizzare una produzione a zero emissioni sono i seguenti cinque passaggi:
1. Efficientamenti
Le potenzialità di ridurre le emissioni di CO2 attraverso un miglioramento dell’efficienza sono ancora elevate, soprattutto se si interviene sui processi con ottimizzazioni a livello operativo, l’impiego di innovazioni e tecnologie avanzate, il recupero di calore internamente ai processi e lo sfruttamento del calore residuo con modellazione PinCH. Le misure di efficientamento finalizzate all’impiego eco-sostenibile dei processi e del calore necessario per il loro riscaldamento sono spesso le più redditizie, in termini di costi, per molte imprese.
2. Reti e sfruttamenti integrati
Ridurre le emissioni è possibile anche attraverso il recupero termico e lo sfruttamento del calore residuo tra più stabilimenti di produzione. Le reti di teleriscaldamento, infatti, consentono di usufruire del riscaldamento e del raffreddamento tra vari processi e industrie. Le difficoltà a livello di realizzazione pratica risiedono nella pianificazione spaziale delle reti e degli usi condivisi e nella distanza geografica tra le potenziali aziende collegate. Le reti di teleriscaldamento, inoltre, presuppongono una programmazione di lungo periodo e richiedono investimenti importanti, che non tutte le imprese situate in corrispondenza degli allacciamenti sono in grado di sostenere finanziariamente. Le reti e gli sfruttamenti integrati creano inoltre interdipendenze tra le imprese, di cui va tenuto conto in fase di pianificazione. Una fabbrica di padelle, ad esempio, può fornire calore a un’amministrazione comunale, una casa di riposo, parte delle strutture scolastiche e immobili privati. Non dovendo trattarsi necessariamente solo di aziende partner – anzi spesso un requisito è anche la presenza di un’infrastruttura pubblica – vanno garantiti altresì la sicurezza giuridica, la fattibilità della pianificazione e una solida intesa con le autorità…
3. Adeguamenti dei processi
In molti casi i processi possono essere adeguati a requisiti di temperatura inferiori, che spesso comportano anche un minor fabbisogno energetico. Queste variazioni possono sì valere la pena, ma anche rivelarsi costose e rischiose. Ecco perché su questo fronte si avverte una certa ritrosia. Affermazioni quali: «lasciamo le cose come stanno, ha sempre funzionato così» oppure «le regolazioni non si toccano, le ho prese tali e quali dal mio predecessore» sono giustificazioni tanto frequenti quanto comprensibili. Analizzare le scatole nere dei processi mettendo in campo le conoscenze interne o esterne necessarie, possedere una certa propensione e capacità di rischio e puntare su innovazione, ricerca e sviluppo sono passaggi fondamentali per trasformare i processi nell’ottica di ridurre le emissioni. Non è escluso che, oltre a ciò, occorrano strumenti di tutela dai rischi per poter dare avvio a tali trasformazioni, che potrebbero essere rappresentati da garanzie di copertura dal rischio legato a grandi avanzamenti tecnologici.
4. Adeguamenti dei prodotti
Alcuni prodotti possono essere sostituiti da altri aventi funzioni identiche o analoghe, ma che richiedono meno calore per il riscaldamento dei processi o temperature inferiori in produzione. Questi cambiamenti di prodotti vengono anche effettuati per utilizzare i materiali con un minor dispendio di risorse o per differenziare e riciclare meglio le materie prime una volta che i prodotti sono giunti a fine vita.
5. Sostituzione dell’approvvigionamento energetico con fonti rinnovabili
Pur avendo pienamente adottato le quattro soluzioni sopra descritte per ridurre le emissioni, rimane ancora un forte fabbisogno di calore per i processi a diversi livelli di temperatura. Per quanto possibile, tale fabbisogno dovrebbe poter essere coperto con vettori energetici privi di emissioni di CO2. Le energie rinnovabili, tuttavia, presentano alcune criticità in termini di disponibilità, contemporaneità, livello di temperatura, andamento dei prezzi e sostenibilità della produzione di biogas e di gas e combustibili liquidi sintetici da fonti rinnovabili. La sequenza con cui sono state presentate le misure è da considerarsi teorica, come nel caso degli immobili, in cui prima va ottimizzato l’involucro esterno e poi va gestito il nuovo riscaldamento con energie rinnovabili. In pratica, spesso la situazione è differente, non da ultimo a causa dei diversi cicli di vita dei componenti. Se le imprese decidono di puntare sui processi e sul calore necessario per il loro riscaldamento, occorre in ogni caso partire dagli efficientamenti. Gli eventuali passi successivi possono seguire un ordine diverso a seconda della situazione.
La decarbonizzazione del calore dei processi non è sempre facile da realizzare, come evidenziano i tre esempi seguenti. Un caseificio organizzato sotto forma di cooperativa, situato in un’area rurale ai margini di una zona artigianale, può tranquillamente passare a un riscaldamento a cippato con il legname proveniente dalla foresta locale. Eventualmente ci sarà anche una rete di teleriscaldamento o un consorzio locale nelle vicinanze. Il carico di base e di punta verrebbe senz’altro coperto con la medesima caldaia o tramite il consorzio. Al giorno d’oggi le caldaie a ceppi sono in grado di adeguare la loro potenza al fabbisogno tra il 100 e il 30 per cento. In un batter d’occhio il caseificio è a emissioni zero – più semplice di così! Sono circa 150 i caseifici assistiti dall’AEnEC nel raggiungimento dei loro obiettivi di decarbonizzazione che hanno adottato questo approccio, tra cui anche alcune grandi realtà…
La decarbonizzazione dei processi e del calore destinato al loro riscaldamento è una sfida.
Un vivaio potrebbe invece avere qualche difficoltà in più. Di notte la serra è isolata dagli schermi termici, che allo spuntare del sole nelle prime ore del mattino vengono rimossi da sopra le colture, il che genera in breve tempo un notevole picco di carico. Sfruttando il calore residuo o utilizzando una pompa di calore con sonda geotermica o ad acqua di falda si riuscirebbe a coprire questo fabbisogno energetico improvviso solo a fronte di grandi accumulatori. Senza di essi occorrerebbe anche a una caldaia, ad esempio a biogas, in grado di assorbire questi picchi. In più, la fonte di energia summenzionata deve anche essere disponibile e utilizzabile. Eventualmente sarebbe il caso di passare a un altro tipo di coltura oppure iniziare la produzione più avanti nell’anno. Questi cambiamenti possono avere un peso notevole per la singola impresa, per cui già a questo punto la decarbonizzazione del calore dei processi non è più così facile da raggiungere.
Ancora più arduo è il caso di un’azienda chimica in area urbana con una molteplicità di processi continui e non e requisiti di temperatura estremamente variabili nei processi. In linea di principio la richiesta massima di calore in un dato punto non dovrebbe far sì che tutta l’area venga alimentata a quello stesso livello di temperatura. Non di rado, infatti, ciò impedisce il recupero termico all’interno dei processi, lo sfruttamento del calore residuo, un’eventuale rete di anergia, l’utilizzo di energia ambientale tramite pompe di calore o l’impiego del solare termico a fini di preriscaldamento o approvvigionamento totale. Spesso tutta l’area di pertinenza dell’azienda viene alimentata a livello centrale attraverso un’unica centrale termica con rete a vapore o ad acqua calda, per cui gli scambiatori di calore ad alta temperatura in corrispondenza dei consumatori vengono previsti di piccole dimensioni. Convertire successivamente questo tipo di reti a temperature inferiori richiede non poche trasformazioni, dal momento che a temperature più basse le superfici degli scambiatori di calore devono essere maggiori.
Rimangono processi le cui emissioni di CO2 difficilmente possono essere abbattute.
Una suddivisione in cluster di approvvigionamento con diversi generatori di calore a seconda dei livelli di temperatura e degli orari di attività sarebbe un’opzione sensata per molte imprese. La produzione di calore per il riscaldamento degli spazi andrebbe possibilmente separata da quella per il riscaldamento dei processi. Al giorno d’oggi un edificio ben ristrutturato può essere gestito con una temperatura di mandata di 35 gradi centigradi, senza necessità di riscaldamento a nafta, a gas o a legna. I «vettori energetici ad alta temperatura» dovrebbero essere riservati ad applicazioni di quel tipo (e non al riscaldamento degli spazi o alla produzione di acqua calda). Il fatto che i grandi impianti di produzione di energia elettrica dal legno potrebbero non sfruttare completamente il calore generato è un altro problema, essendo il legno una risorsa destinata a scarseggiare come vettore energetico.
Un po’ di luce in fondo al tunnel arriva dalla disponibilità – si spera crescente – di biogas e di gas e combustibili liquidi sintetici da energie rinnovabili, che consentono di generare temperature elevate. Devono dunque essere utilizzati dove occorrono temperature di questo livello ed essere prodotti in maniera sostenibile. Importanti sono anche i progressi compiuti sul fronte delle pompe di calore ad alte temperature. Alla fine, tuttavia, rimangono processi le cui emissioni di CO2 difficilmente possono essere abbattute. Tra questi rientrano anche i processi in ambito petrolchimico et quelli che rilasciano emissioni geogene, come la combustione della calce.
Sulla base del piano in 5 fasi sopra descritto i consulenti dell’AEnEC illustrano alle imprese interessate, in funzione della loro situazione specifica, quali misure possono essere adottate volontariamente nell’arco dei successivi 30 anni per abbattere quanto più possibile le emissioni dei processi e del calore necessario al loro riscaldamento. Le analisi PinCH, finanziate tra l’altro anche dalla Confederazione, saranno fondamentali nell’individuare le possibilità di recupero termico e di conversione dei processi. La pianificazione dei costi e delle misure va necessariamente effettuata in un’ottica di Life Cycle Cost (LCC) evidenziando anche i possibili «non energy benefits», altrimenti alcuni risvolti di tali misure potrebbero non apparire redditizi dal punto di vista odierno e alla luce delle condizioni attuali. Con «non energy benefits» s’intendono gli effetti che si realizzano oltre ai risparmi sui costi energetici. Lo stimolo ad avvalersi di tale servizio di pianificazione a cura dell’AEnEC potrebbe essere l’imminente necessità di grandi investimenti su linee o stabilimenti di produzione oppure l’interesse a individuare le opportunità d’intervento. Pianificare il futuro appunto! Sono più di 200 le imprese seguite dall’AEnEC che hanno affrontato il tema della decarbonizzazione del calore necessario al riscaldamento dei processi, richiedendo una pianificazione completa oppure attuando già le misure del caso. Altre sono intenzionate ad aggiungersi. Dire «non funziona» non va bene, commenterebbe Jacqueline Jakob. I numerosi esempi pratici riportati in questa rivista mostrano ciò che è possibile e quali sono le difficoltà da affrontare.
Profilo dell’autore
Thomas Weisskopf, ing. el. dipl. HTL, ing. ener. dipl. HTL/NDS è titolare e amministratore della Weisskopf Partner GmbH e membro della direzione dell’Agenzia dell’energia per l’economia (AEnEC). È coach dell’energia per la Città di Zurigo, esperto CECE Plus e membro del Forum Energia Zurigo. Weisskopf Partner GmbH è accreditata presso l’AEnEC ed energo.